mercoledì 4 giugno 2008

La dura legge del "branco"...

bullismo 5

Di bullismo si parla molto in questi ultimi tempi su gran parte dei media nazionali, soprattutto alla luce degli ultimi tragici eventi di cronaca, ma di cosa si tratta realmente? Chi sono le vittime e chi i persecutori? Quali le condizioni sociali in cui il fenomeno esplode e quali le misure per contenerlo? Cercheremo di dare risposta a questi interrogativi esaminando come questo fenomeno viene percepito dai diversi “attori” coinvolti.

La ricerca su questo delicato fenomeno è ancora in fase relativamente embrionale in Italia, soprattutto se comparato con gli studi fatti in Svezia e Giappone.

Diverse sono le forme di bullismo, tanto che sarebbe forse più appropriato parlare di “bullismi”. Le manifestazioni spaziano dalla forma “diretta”, generalmente un’aggressione fisica, alla forma “indiretta”, più tipica, ma non esclusiva, del bullismo “femminile” o interno a gruppi più “agiati”.

Il “bullismo indiretto” vede messe in atto persecuzioni verbali e, più in generale, giocate sul piano psicologico.

La Dottoressa Carla Vulcano, psicologa e psicoterapeuta della ASL BA, spiega come atteggiamenti aggressivi e dinamiche di sopraffazione siano normali nei gruppi di giovani. Questa normalità diventa bullismo quando i rapporti di forza sono talmente scompensati che l’altro diventa una “vittima” e non riesce più a sottrarsi alle persecuzioni. Il fenomeno diventa problematico nel momento in cui l’adulto perde di autorevolezza e non ha più la forza di fissare limiti e di far rispettare le regole del vivere sociale. Lo “schiaffo terapeutico” così comune nelle generazioni addietro, era uno strumento di contenimento. <<Il fenomeno è legato allo scarso contenimento dell’aggressività e alla scarsa coscienza degli adulti della propria aggressività. Scatta una “formazione reattiva”, un meccanismo di difesa, identificato da Freud, che non elabora la funzione negativa.>> In altre parole, si nasconde un aspetto della propria personalità, l’aggressività, ritenuto non accettabile socialmente, celandolo dietro un paravento di perfezione e buonismo. Questo atteggiamento viene proiettato sui propri figli, sempre innocenti a priori, in una sorta di investimento narcisistico. Si perde il contatto con la “persona-figlio” per quello che è, sviluppando un “falso se”, una parte compiacente di noi.

Il fenomeno nelle sue forme più evidenti di delinquenza giovanile, che spesso sconfinano in vero e proprio reato, viene puntualmente perseguito dalle forze dell’ordine in modo mirato. Secondo il Prefetto Schilardi, è essenziale la denuncia. A tal fine si sono susseguite numerose iniziative per sensibilizzare professori e presidi a denunciare episodi di bullismo. Ugualmente si fa pressione sulla magistratura minorile per agire in modo incisivo e sulle forze dell’ordine per intervenire nelle scuole e trovare momenti di confronto con i ragazzi. Segnale forte della presenza dello Stato. Iniziative come quella partita da alcuni genitori e impropriamente definita “ronde anti bullo”, sostiene il Prefetto, <<non sono altro che forme di manifestazioni di malessere che la società civile esprime all’esterno. Vogliono essere di stimolo alle istituzioni, ma di fatto sono irrilevanti sul piano pratico e operativo.>>

Su un elemento sembrano concordare tutti gli “attori” coinvolti: fenomeni di prevaricazione giovanile sono sempre esistiti e non bisogna dare al bullismo un peso superiore a quello che ha sul nostro territorio. Compito delle istituzioni e delle famiglie non può essere di repressione tout court, ma di stimolo ad incanalare in modo costruttivo le energie creative dei ragazzi.

 

L'inchiesta completa sarà disponibile nel numero di giugno di "Bari, ieri oggi domani"

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